venerdì 9 gennaio 2015

Capitoli da XVI a XX

L'autore insieme a una lettrice de "La Grande Inculata".


XVI. MUTAMENTI


Ieri ho regalato l’unico televisore che avevo nell’appartamento a mia sorella che tra qualche mese si sposerà. L’ho fatto perché ormai non posso più guardarlo. “Il Grande Fratello” e l’invasione dei reality show, Biscardi e tutto il bla bla bla sportivo, Costanzo e gli amici di sua moglie, “Studio aperto” e quell’ibrido del suo direttore… Non c’è scampo!
    Il processo involutivo da uomo a larva è irreversibile. Comincio a perdere colpi, le uniche medicine che assumo sono dosi abbondanti di Vecchio Jack, ma sono palliativi inutili.
    Zio, la Blatta e Mastro Marasca sono venuti a trovarmi nel pomeriggio. Ho dovuto correre il “rischio crisi” perché avevo voglia di fare due chiacchiere e poi, ubriaco com’ero la capacità di percezione del Vuoto era ridotta ai minimi termini.
    Abbiamo parlato per un’oretta abbondante, durante la quale ho saputo che Zio e Mastro Marasca sono reduci da una settimana bianca trascorsa in Trentino, Mastro Marasca ha cambiato lavoro e ora fa il benzinaio, Zio ha fatto l’abbonamento a una palestra con Gisto.
    “Perché non vieni anche tu?” ha proposto Zio. “Magari ti farebbe bene!”
    “Non credo” ho risposto, “ci sono andato un paio di mesi molti anni fa e ti assicuro che non è proprio l’ambiente adatto a me la palestra.”
    Ad un certo punto la Blatta ha monopolizzato la chiacchierata con l’argomento Giamaica. A settimane infatti dovrebbe trasferirsi alcuni mesi sull’isola caraibica per lavoro (non ho capito bene se come barista, cameriera, sguattera o che); si è licenziata l’altro giorno dal suo lavoro di segretaria nell’azienda informatica albanese dove lavora anche Capocchia, troppo frustrata per tirare avanti. Credo che il suo cervello, da quando non è più insieme al buon Gisto, sia andato lentamente e inesorabilmente disgregandosi: da diverso tempo è alcolizzata e da troppo tempo inpenetrata, così ho il sospetto abbia deciso di andarsi a disintossicare con la ganja e a lubrificare con il big bamboo.
    “Mi ha fatto piacere vedervi” ho detto proponendo un brindisi con le Ceres che gli avevo offerto, “magari tra un po’ vi invito a un mio compleanno.”
    Ci siamo salutati e mi sono accostato alla finestra, osservando i miei chiamiamoli amici salire sulla macchina di Mastro Marasca. Ho pensato che oltre al regresso spirituale che hanno (abbiamo) avuto, anche l’aspetto fisico è drasticamente mutato in peggio rispetto a pochissimi anni fa. L’alcolismo ha reso la Blatta una parodia di se stessa, gonfia, pallida, ciondolante. Zio, benché vada in palestra è imbolsito, notevolmente abbruttito rispetto a quel bel ragazzo che era. Mentre Mastro Marasca ha accumulato strati di grasso nella pancia e nella pappagorgia tanto da sembrare la brutta copia di un Buddha.
    Sono andato in bagno a guardarmi allo specchio. Quello che ho visto non mi è piaciuto.



XVII (VIXI). ROBBY PER GLI AMICI


“Mi sono perso” disse entrando Robby. “Potete indicarmi la strada per il paese?”
    “Beh, è un po’ lontano da qui, saranno almeno quattro o cinque chilometri” gli riferì Bongio.
    “Sei in scooter?” chiese il Trucido.
    “No, sono a piedi.”
    “E da dove vieni a piedi, con questo freddo e in mezzo a questa campagna desolata?” feci io.
    “Passavo…” stava dicendo, quando Maso propose un brindisi “alla gnocca” e la risposta del giovane cadde nel fondo dei nostri bicchieri colmi.
    “Suvvia, siedi qui con noi” propose Gallo. “Bevi qualcosina poi qualcuno di noi ti porterà in paese.”
    “Va bene, siete molto gentili” rispose Robby per nulla intimidito da quella bolgia di ubriachi.
    Il livello etilico nel sangue era molto alto per tutti a quel punto. Maso era quello più fuori di tutti, colpa anche dei cannoni fumati prima di cena.
    “Come ti chiami bimbo?” gridò euforico Gisto.
    “Robby per gli amici.”
    “Vuoi uno spinello Robby?” propose Maso.
    “Mmm, veramente… non so se…”
    “Dai, cosa vuoi che ti facciano due tiri a una canna” insisté Gallo. “Fuma che è tutta salute!”
    Fumò Robby, e non si tirò neppure indietro durante le varie levate al cielo di bicchieri. Reggeva bene il ragazzino venuta dal nulla, così almeno ricordo di aver pensato osservandolo integrarsi così bene in mezzo a noi adulti.
    Era già mezzanotte passata quando Robby chiese se qualcuno poteva accompagnarlo.
    “Aspetta ancora un po’” dissi, “ci facciamo un altro paio di bicchieri poi ti porto via io.”
    “Ok, grazie.”



XVIII. COMPLEANNO AL SIRIUS 


L’ultimo compleanno che ho festeggiato al Sirius da Tony e Mamo è stato poco prima dell’ultimo Natale. Era il mio 63° o 64° compleanno. Tutti sapevano ormai della terribile malattia che mi affligge. Mamo mi aveva suggerito di fare un mega party al Ruvido, una discoteca per fighetti di Bologna. Ovviamente avevo declinato il consiglio dato che non sarei mai uscito vivo da un tale regno del Vuoto.
    Quella sera al tavolo del pub c’erano, oltre a Tony e Mamo, Gisto, Mastro Marasca, Zio, Bongio e sua moglie Cristina, Capocchia e la sua morosa Fedora, Lennon e la sua morosa Paolina, Maso e sua moglie Rachele, la Blatta e suo fratello Artemio, la Vanny con il suo ragazzo Bruno, Betty, Dolores e una loro amica che mi avevano presentato quella sera come Clementina.
    Maso aveva della cocaina rimastagli da una notte vandalica con Gallo e Idalgo; fu così gentile da offrirmene qualche riga, prontamente tirata nel bagno del locale.
    Stetti abbastanza bene per tutta la serata, a parte una leggera crisi iniziale dovuta a una frase pronunciata dalla Vanny: “Mia sorella lavora all’esilo e ci piace tanto.”
    Dopo mezz’ora ero talmente fatto che neanche mi accorsi quando sempre la Vanny disse: “Bruno ha comprato l’ultimo modello di tv al plasmon.” Per fortuna!
    Mamo e Tony offrirono molto gentilmente vino e birra a profusione (io scorsi nella loro cortesia anche una certa dose di compassione nei miei confronti). Visto che con quelle due fighe frigide di Dolores e Betty non si cavava un ragno dal buco, puntai tutte le mie fiches  su Clementina. Avevo notato che mi osservava con interesse e poco dopo notai anche che parlandole avevo scatenato la gelosia della Vanny (che per quanto fosse con il fidanzato-fantoccio era ancora innamorata della sua puttana) e della Blatta (che solo una settimana prima, in uno di quegli slanci di sincerità che si hanno solo quando si è ebbri di alcol, mi aveva confidato di essere pazza di me).
    Conversai piacevolmente con Clementina e non solo perché ero carico di benzina; scoprimmo di avere gli stessi gusti musicali e la stessa passione per la letteratura.
    “Qual è la tua canzone preferita?” mi chiese.
    “O surdato ‘nammurato” risposi.
    “Ma dai! Anch’io la adoro. E il tuo libro o scrittore preferito?”
    “Mah, potrei dirti con più facilità chi sono i libri e gli scrittori che non mi piacciono, ce n’è talmente tanti in giro! Mmm… ah sì, eccone uno che adoro: il Kamasutra!”
    “Wow!”
    Andai poi in brodo di giuggiole quando alla mia domanda sui suoi gusti sessuali mi rispose che non aveva tabù e amava provare tutto, era andata a letto un paio di volte anche con una sua amica.
    “Tu sei la donna dei miei sogni” le dissi solenne.
    La conversazione si spostò poi sul mio stato di salute.
    “Vedi” la informai, “il Morbo di Giacomo Kellerman – detto anche sclerosi antropofobica progressiva – non è una malattia contagiosa, è sostanzialmente una malattia psicosomatica cronica e se al mondo fossero tutti come te, non esisterebbe.”
    Stavo bluffando ma lei non se ne accorse. E forse neanch’io!
    “Ora sono praticamente invalido” proseguii, “e non posso più lavorare o stare troppo a contatto con le persone, ma non c’è nessuna controindicazione che mi impedisca di fare sesso…”
    La sera stessa mi offrii di riaccompagnarla a Bologna dove abitava con gli zii. Scopammo nel suo tugurio di camera. Quando la mattina mi svegliai nel letto di quella sconosciuta e misi a fuoco la situazione, il primo pensiero a passarmi per la mente fu: “Mio dio, che brutti scherzi giocano i mix di alcol e droga!”



XIX. SCHELETRI E BIGLIETTI

  
Ognuno ha i suoi scheletri nell’armadio, solo che c’è qualcuno che nell’armadio tiene dei fossili di dinosauro. Qualcuno come me per esempio.
    Quando ero innamorato di Alice e lei mi lasciò, dentro me calò la notte e in quel buio impenetrabile nacquero propositi tragicomici. Non so perché ne parlo, non essendoci vergogna più grande di quella che provo soltanto ripensandoci.
    Una volta, per trovare un modo di impietosire Alice (evidentemente in quel momento di oscurità totale pensavo fosse un buon metodo per farla tornare da me) finsi di scivolare sotto la doccia di casa e sbattere la testa per poi simulare la perdita della memoria. Quando mia mamma – dopo dieci minuti – capì che era una ridicola messinscena, il piano cadde nel cesso insieme alla mia dignità. (PRIMO FOSSILE).
    Un giorno riuscii a farmi ricevere da Alice in casa sua; era sola e siccome con la mia insistenza stavo peggiorando la già stracompromessa situazione, esasperato le misi le mani al collo. Credo che se avessi stretto per altri due secondi la mia storia sarebbe ben diversa e non l’avrei fatta franca come con l’omicidio di Robby. (SECONDO FOSSILE, TIRANNOSAURO).
    Beh, affanculo!, mi vergogno troppo per mostrarvi altri fossili. Prima ho detto di non sapere perché ne parlo, in realtà ho appena ricevuto una telefonata proprio da Alice (casualmente avevo il cellulare acceso): è per questo che l’armadio di fossili si è spalancato.
    “Ciao Simone, sono Alice.”
    “Alice chi?”
    “La tua Alice!”
    Sono rimasto qualche istante interdetto. Possibile che avesse detto “la tua Alice”? Forse me lo ero immaginato, ad ogni modo era lei, il grande amore del mio passato. Aveva saputo della mia situazione disperata di morituro, così adesso mi chiamava per sentire come stavo.
    “Mah, potrei stare meglio” le ho detto. “Come diceva Rutger Hauer prima di uccidere la sua vittima ne “I falchi della notte”: “Non ti devi preoccupare, vai in un mondo migliore”. Sto per fare le valigie… E tu come stai? Non parlo con te da almeno sette anni!”
    “Io sto bene. Dopodomani vado in vacanza nella nostra villa in Sardegna con Idalgo e i bimbi. Abbiamo rischiato di non partire perché a Idalgo hanno rubato quattromila euro la scorsa settimana mentre era fuori con Gallo e Maso. Quanti delinquenti ci sono in giro!”
    “Eh già! Bene, l’importante è che tu sia felice.”
    “Oh, felicissima!”
    Ho scritto un racconto qualche tempo fa in cui il protagonista conclude la storia dicendo: “Mi sento come un biglietto vincente della lotteria smarrito: valgo una fortuna ma nessuno mi intascherà mai.” Ecco, Alice mi ha fatto pensare a questo, e al fatto che c’è tanta gente che crede di aver vinto alla lotteria con il biglietto… dell’autobus!



XX. IL MIO MONDO  


Ho trascorso la giornata di ieri a farmi autoscatti e oggi mia sorella mi è andata a ritirare i cinque rullini utilizzati. Ho decine di fotografie sotto gli occhi e non riesco a farmene piacere neanche una; sto cercando la migliore da mettere sulla lapide insieme all’aforisma perfetto che non ho ancora creato.
    Lascio perdere e vado a segnare sul muro del bagno una frase tratta dal libro che ho appena terminato: “… le opere di valore nascono solo sotto il premere di una vita cattiva, colui che vive non lavora e, per essere perfetti creatori, bisogna essere morti.” Il libro è “Tonio Kroger” di Mann, volumetto che ho inserito nella mia speciale libreria.
    Quando osservo tutte quelle opere mi vien sempre da pensare ai miei primi libri pubblicati: “Cavalcando un fenicottero nano deforme” e “Dioniso misantropo”. Come ho potuto farmi plagiare da editori criminali e spendere vagonate di quattrini per pubblicare della roba ‘sì vergognosa?! Quella non era letteratura, quei libri erano schifezze partorite da una mente omologata, inesperta e pure ignorante. La musa ispiratrice di “Cavalcando un fenicottero nano deforme” è stata la sofferenza, il mecenate di “Dioniso misantropo” è stato il mio egocentrismo e sia nel primo che nel secondo libro non c’è traccia di fantasia o originalità o freschezza o quello che cazzo volete. Feuilleton banale e mellifluo “Cavalcando un fenicottero nano deforme”, “grido” pateticamente ribelle “Dioniso misantropo”, sono entrambi il simbolo di quello stesso male che ora aborro e che porterà sotto terra le mie povere membra: il Vuoto.
    Solo dopo aver scritto e pubblicato quei libercoli ho iniziato a scoprire realmente il gusto per la scrittura e le sue proprietà terapeutiche. Se “Cavalcando un fenicottero nano deforme” e “Dioniso misantropo” hanno qualcosa di buono è solo questo: mi hanno introdotto in un mondo dove mi sento perfettamente a mio agio. Se non mi fossi innamorato della letteratura, con ogni probabilità sarei oggi un serial killer e Robby non sarebbe stata che la prima di una lunga serie di vittime.
    Cazzo, cazzo, cazzo, tra poco abbandonerò questa vita e non ho visto pubblicata nemmeno una mia opera decente. È un pensiero estremamente fastidioso.
    Cazzo, cazzo, cazzo, non ho creato mai un cazzo. Sono stato solo capace di distruggere. Sono…
solo  un assassino, sono solo un assassino, sono solo un assassino, sono solo un assassino, sono solo un assassino, sono solo un assassino, sono solo un assassino, sono solo un assassino, sono solo un assassino, sono solo un assassino, sono solo un assassino, sono solo un assassino, sono solo un assassino, sono solo un assassino, sono solo un assassino, sono solo un assassino, sono solo un assassino, sono solo un assassino, sono solo un assassino,
sono solo un assassino, sono solo un assassino, sono solo un assassino,
sono solo un assassino,
sono solo un assassino,
sono solo un assassino,
sono solo un assassino,
sono solo un assassino,

sono solo un assassino…

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