venerdì 9 gennaio 2015

Capitoli da XXIII a XXVII


Pochi sanno che da "La Grande Inculata" è stato tratto un film (vietato ai minori di 18 anni) con protagonista l'autore stesso e la partecipazione straordinaria di attori del calibro di Jimmy il Fenomeno e Salvo del Grande Fratello. Regia di Pupi Avariati. Uscito nelle sale della provincia di Bologna nel 2008 è stato ritirato poche settimane dopo per volere del Ministero dei Beni Culturali. 
Nella foto sopra una scena rubata sul set. Gli attori provano la scena clou.


XXIII. NON C’E’ PIU’ TEMPO 


Tralascio di inserire i capitoli XXI e XXII perché erano trenta pagine di…

sono solo un assassino

    Se siete cinefili non vi sfuggirà la reminiscenza: Jack Nicholson in “Shining”, il mio film preferito in assoluto.
    Temo che il germe della follia si stia facendo strada tra le mie cellule cerebrali, eppure il professor Moruzzi aveva spiegato che il decorso della malattia porta alla morte nella più totale lucidità. Almeno mi pare, non ne sono più così sicuro. Non sono più sicuro di niente. So solo che l’aurea mediocritas delle persone fuori da questa casa ha raggiunto il parossismo e una mia eventuale incursione nel mondo là fuori potrebbe essermi fatale.
    Devo sbrigarmi a finire questa storia, non c’è più tempo, l’Infame Orologio scandisce i suoi tic e i suoi tac imperterrito.
    Stasera sono stato invitato a Villa Skreta per cena. Non so se ci andrò, anche se non mi dispiacerebbe rivedere forse per l’ultima volta la casa dove sono cresciuto. Da più di un mese e mezzo non metto il naso fuori da queste mura e il rischio di perire al primo alito di Vuoto è quanto mai concreta.
    Non voglio insinuare che i miei cari siano gente traboccante Vuoto, ma il Vuoto può venirti soffiato in faccia come gas nervino da chiunque, anche dalle persone apparentemente meno sospettabili.
    Il professor Moruzzi mi raccontò un giorno di un caso emblematico. Un suo paziente svizzero affetto da sclerosi antropofobica progressiva venne invitato una sera a casa di un amico italiano, un docente universitario di lettere; costui era appassionato di astrologia e cosmogonia, di storia dell’arte, era esperto di numismatica e gran collezionista di libri antichi, dipingeva quadri eccelsi e suonava alla perfezione almeno tre o quattro strumenti musicali, parlava cinque lingue e aveva viaggiato il mondo in lungo e in largo. Durante la conversazione che ebbero quella sera questo professore ad un certo punto se ne uscì così:
    “Sono un leghista convinto. Credo che tutti questi extracomunitari puzzolenti debbano essere rimandati nei loro paesi a calci in culo. Ognuno a casa sua!”
    Il suo ospite esalò in quell’istante l’ultimo respiro.
    È quasi scontato che succederà così anche a me, ma devo procrastinare il più possibile quel momento, dato che come detto non c’è più tempo e non ho ancora vuotato tutto il sacco.


XXIV. A UN PASSO DALL’INFERNO

A quel punto le bottiglie di vino vuote raggruppate in un angolo erano una ventina abbondante. Dopo aver preso il caffè avevamo spostato la tavola in modo da rendere la sala da pranzo una piccola sala da ballo. Gallo mise la musica a palla e tutti, Robby compreso, ci scatenammo in pista.
    Dj Maso sceglieva la musica: Prodigy, Chemical Brothers, Duft Punk. Alle due ancora ci davamo dentro, poi pian piano, ci rimettemmo a sedere uno alla volta, esausti. Robby solo continuava instancabilmente a ballare.
    Mi guardai intorno e notai con un certo stupore che i volti dei miei amici erano come ipnotizzati dal giovane sconosciuto. Egli – anche se può sembrare un assurdo tentativo di giustificazione – emanava un’ancestrale aura maliarda, un qualcosa di magico e oscuro che mi terrorizzò.
    Quando Robby, quasi ridestatosi dalla trance del ballo si accorse di essere rimasto l’unico in pista, si avvicinò allo stereo e abbassando la musica disse:
    “Qualcuno mi può accompagnare ora? Sono pronto.”
    “Per andare dove?” chiese Mastro Marasca intronato dall’alcol e dalla musica.
    “Per andare in paese.”
    “E vacci da solo in paese” sbuffò Zio in un tono a metà tra sfida e noia.
    “Non scherzate signori, ora devo andare sul serio. Non posso rimanere qui, la Vita mi aspetta…”
    “Vattene un po’ affanculo sbarbatello” disse irritato Maso. “Chi sarebbe questa Vita? Tua mamma? Tua sorella? Perché non viene lei a prenderti?”
    “Quanto siete tristi!” disse ironicamente Robby. “Siete tutti dei cadaveri. Non ho mai visto tanti morti viventi tutti assieme!”
    E come morti viventi, quelli del film di Joe Dante, ci scagliammo improvvisamente su Robby.




STOOOOOOOOOP!
(n.b.: nel libro stampato nel riquadro sopra c'era l'immagine di un semaforo)


    Da questo punto in avanti si aprono le porte dell’inferno. Non vi obbligo a seguirmi, ma se lo farete, vi giuro che tutto ciò che racconterò ora è pura verità, anche se dovrete costringervi a credermi con tutte le forze tanto vi parrà assurdo il prosieguo.
    Prima di continuare vado a farmi un po’ di Vecchio Jack…


XXV. LA SPERANZA


Mamma ha aperto la porta bruscamente. Con lei c’era il professor Moruzzi. Fui sorpreso.
    “Simone! Simone! Senti cos’ha da dirti il professore!”
    “Calmati mamma, che succede? Professore?”
    “Forse c’è una speranza” disse Moruzzi.
    “Una speranza? Per cosa?”
    “Non ci facciamo troppe illusioni, ma un famoso ricercatore americano ha trovato un vaccino capace di guarire il Morbo di Giacomo Kellerman. Tutto è ancora in fase sperimentale e siccome ci sono talmente pochi casi di sclerosi antropofobica progressiva nel mondo, ho pensato di sottoporti alla sperimentazione del dottor Winkler.”
    “Dovrei fare la cavia?”
    “Stai tranquillo , anche se non è certa l’efficacia, è sicuro che non presenta effetti collaterali.”
    “In cosa consiste?”
    “Beh, il vaccino è una semplice pastiglia, si chiama Vicagon, della casa farmaceutica Testa, una sorta di potente antidepressivo.”
    “Tutto qui? Per curare il Morbo di Giacomo Kellerman basta una caramella antidepressiva?”
    “No, non è tutto.”
    “Ascolta, ascolta bene Simone” si intromise ansiosa mamma.
    “Gli studi del dottor Winkler” proseguì Moruzzi, “noto psichiatra e farmacologo, hanno stabilito che la combinazione di Vicagon con esperienze di vita nuove, possono far regredire la malattia sino alla guarigione.”
    “Che significa esperienze di vita nuove?”
    “Dopo aver assunto 100 milligrammi di Vicagon Testa, che ti renderà immune alle persone e al Vuoto per almeno un mese, dovrai lasciare il paese per un viaggio.”
    “Metaforico?”
   “No, reale!”
    “E dove dovrei andare?”
    “Non ti preoccupare, il Vicagon penserà per te. Farai esperienze nuove, viaggiando, vedendo posti nuovi e conoscendo nuova gente, gente che proprio grazie al Vicagon ti scatenerà una tale empatia che comincerai ad amare il mondo, lasciandoti alle spalle la sua mediocrità.”
    “E quando rientrerò dal viaggio che succederà?”
    “Beh, se gli studi di Winkler sono giusti, dovrebbe iniziare il processo di guarigione che ti porterà a tollerare il Vuoto nel giro di qualche settimana.”
    “Probabilità di successo?”
    “Diciamo un cinquanta percento, ma tentare a questo punto non può nuocere.”
    “Mi scusi se non ho capito: il viaggio! Mi spieghi meglio.”
    “Dopo avere ingerito il Vicagon, nel tuo cervello ci sarà uno sconvolgimento totale. Ti sentirai un altro… sarai un altro! Avrai pensieri nuovi, una nuova coscienza di te e del mondo. Ti basterà fare le valigie e portarti dietro qualche soldo. Diciamo che, per fare un esempio, è come se un mini pilota si sedesse nella cabina di pilotaggio del tuo cervello e ne prendesse il comando. Viaggerete. Magari il pilota sceglierà di andare in Brasile, o in Islanda, oppure in India o a pochi chilometri da qui. Dipende dalle tue inclinazioni inconsce, che il pilota esternerà. Mi capisci?”
    “Credo di sì, anche se sono un po’ perplesso. Qualcuno ha già provato la cura?”
    “Una decina di malati la sta provando in questo momento. Se decidi sarai uno di loro. Ti consiglio vivamente di provare, non c’è più molto tempo, il prossimo incontro con il Vuoto potrebbe essere l’ultimo.”
    Guardai mia madre; i suoi occhi disperati e supplichevoli mi fecero decidere immediatamente.
    “Quando posso prendere il Vicagon?”
    “Prepara le valigie e vieni oggi stesso in ospedale.”
    “Non posso, verrò domani. Devo finire di scrivere una storia.”


XXVI. BENVENUTI ALL’INFERNO 

Questa storia non doveva prendere questa piega ma la ventura ha deciso diversamente. E allora oggi, primo aprile 2004, dopo aver testé finito di festeggiare in tutta solitudine il mio 75° compleanno, mi appresto a raccontare come seviziammo e uccidemmo il giovane Robby.
    Il primo ad avventarsi sul ragazzo, dopo che questi ci ebbe impudentemente canzonato con le parole “morti viventi”, fu Mastro Marasca, il quale gli assestò un manrovescio sulla mandibola. Robby barcollò ma non cadde, allora sempre Mastro Marasca gli diede una violenta ginocchiata nello stomaco. Il Trucido lo prese per la maglietta e lo scaraventò a terra.
    “Ho un’idea!” proruppe Gallo. “Portatelo su in camera da letto.”
    In quella stanza, la vecchia stanza da letto della vecchia casa di campagna del vecchio Gallo, attraversammo tutti quanti la linea del non-ritorno.
    Spogliammo Robby completamente nudo. Mentre Zio e Losco lo tenevano fermo torcendogli le braccia e tirandogli i capelli, Maso lo costrinse a fargli un pompino.
    “Se provi a mordermi ti taglio le palle!” lo intimò. “E non provarti a sputare la sborra, capito?!”
    Gli venne in bocca. Non riesco ancora a credere a quello che facemmo; neppure sotto l’effetto della più potente droga del mondo credo che un branco di esseri umani apparentemente normali possa trasformarsi così di colpo in un armento di maniaci omicidi. Eppure…
    Capocchia tirò fuori il suo batacchio smisurato e gridò: “Apritegli il culetto che adesso gli mettiamo la supposta!”
    Penetrò il sedere del giovane e questi gridò dal dolore. Anche Turtlén, Zio, Lennon, Gallo, Mastro Marasca e Losco vollero inserire il loro gettone nel folle stupro.
    “Adesso basta!” intervenne Gisto, e mentre ancora Losco si trastullava con il martoriato deretano, diede una bottigliata in testa a Robby. La robusta bottiglia di vino si ruppe in mille pezzi e il ragazzo cadde a terra svenuto.
    Eravamo ancora tutti assatanati, e a parte Bongio che se ne stava in disparte, avevamo tutti brama di infierire su quel leggiadro corpo giovane.
    “Su, svegliatelo coglioni!” dissi.
    Vuotandogli in testa una bottiglia d’acqua Maso lo fece riprendere.
    “Perché non lo impicchiamo?” sbottò Gallo. “Ho sentito dire che quando si impicca uno gli si drizza il cazzo.”
    “Proviamo!” dissero Gisto e il Trucido in coro.
    “Vado a prendere la corda che c’è giù accanto al pozzo” dissi.
    Dieci minuti dopo issavamo il capestro alla trave centrale della sala dove avevamo consumato la cena. Robby, frastornato e terrorizzato al contempo, iniziò a piangere.
    “NO VI PREGO, LASCIATEMI STARE, NON UCCIDETEMI!”
    “Zitto fighetta!” ordinò con voce metallica Mastro Marasca.
    “PERCHÈ MI FATE QUESTO, IO NON VI HO FATTO NULLA!”
    “Nulla?” intervenni io. “Nulla? Tu hai distrutto le nostre vite!”
    Ancora oggi mi chiedo cosa volessi dire con quelle parole. A quel punto Robby aveva il cappio al collo e poggiava i piedi su una sedia di paglia.
    “NOOO, VI PREGO, NOOO!”
    “Chi vuole avere l’onore?” chiese Gallo.
    Tutti ci presentammo accanto alla sedia, a parte Bongio che disse di non sentirsela. Insieme demmo un calcio al precario sostegno facendolo volare a pezzi in un angolo.
    “Guardate! Allora è vero!” giubilò con un lampo di gioia sul volto Gallo.
    Robby penzolava e il suo membro diventava pian piano turgido, mentre la vita abbandonava il suo corpo. Esplose in una mitragliata di sperma e morì.
    Scoppiammo tutti a ridere, Bongio compreso, e le nostre risa si profusero man mano in un climax raggelante: sembravano risa provenienti dall’oltretomba. Poi il lugubre sghignazzo scemò sino ad esaurirsi, ma la nostre folle trance era ancora cupida e pulsante. Una fame inspiegabile ci assalì tutti quanti e quando Turtlén propose di assaggiare Robby, tutti lo avevamo già pensato.
    Gisto, Gallo, Turtlén e Mastro Marasca pensarono a fare a pezzi il cadavere, mentre Zio e Lennon riattizzavano il fuoco per preparare nuove braci.
    Ogni pezzo del ragazzo venne cotto. A me toccò un pezzo di coscia, uno squisito trancio di polmone, un ottimo testicolo e un saporitissimo quartino di gluteo. Nel giro di una mezz’ora non erano rimaste che le ossa, le quali sotterrammo accanto al pozzo. Bruciammo scarpe e indumenti e mentre vedevo ardere la maglia con Bart che esclamava “Ciucciati il calzino!” provai un brivido pensando che non eravamo stati noi a inculare Robby, ma lui noi.


XXVII. SOLO UN MOMENTO 

Solo un momento gente, non ho ancora finito. Ho fatto una pausa per farmi due dita di Vecchio Jack… è pur sempre il mio settantacinquesimo compleanno e domani… SI PARTE!
    Ma torniamo alla sera maledetta. Dopo aver fatto sparire tutti gli indizi ci ritrovammo intorno al tavolo della sala da pranzo. Il silenzio era calato su di noi come una cappa di smog soffocante. Mentre avvertivamo la follia dissolversi nessuno osava aprire bocca. Altro misterioso evento: ci assopimmo tutti quanti. Quando alle prime luci dell’alba ci svegliammo, non avemmo bisogno di parole per capire che nulla sarebbe mai  più stato come prima.



Scrivo queste ultime righe a mano perché ho già staccato il computer. Quello che dovevo far sapere l’ho scritto. È arrivato il grande momento. Mamma, papà, mia sorella Arianna e il suo ragazzo Lando, la Blatta, Gisto, la famiglia Bongiovanni, e Capocchia mi stanno aspettando giù in strada. Li saluterò , poi andrò all’ospedale da Moruzzi. Il Vicagon Testa mi guarirà? Quando tornerò dal “Viaggio” lo saprete.

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