giovedì 8 gennaio 2015

PARTE PRIMA. Capitoli da I a V.


PARTE PRIMA

di Simone Skreta

I. PRONTI, VIA! 

Primo. Questo libro è una confessione. Secondo. Leggendo questo libro molte persone subiranno danni irreversibili. Terzo. Mi rimane talmente poco da vivere che posso permettermi il lusso di DIRE TUTTA LA VERITÀ, soprattutto quella sull’omicidio di Robby.
    Se questa storia non passerà inosservata, sarà dovuto essenzialmente alle rivelazioni che farò riguardo quel brutale assassinio e alle querele che mi pioveranno addosso da amici, parenti degli amici e conoscenti, anche se in un angolino dentro me alberga la speranza che “La Grande Inculata” arrivi a traguardi prestigiosi perché opera di talento. Opera sperimentale inoltre: è infatti la prima volta che scrivo a ruota libera rigurgitando sul foglio immacolato tutta la sporcizia della mia anima. Non come in tutte le storie o racconti scritti in passato dove filtravo, correggevo, smussavo… e alla fine il risultato era solo un surrogato edulcorato di quello che doveva essere in principio.
    Oggi è precisamente giovedì cinque febbraio duemilaquattro e proprio oggi festeggio il mio settantaquattresimo compleanno. “Complimenti, dimostri meno di trent’anni” potrebbe esclamare ironicamente qualcuno vedendomi. In effetti sulla mia carta d’identità c’è scritto Nato a Roma il 10/11/1974, quindi se non siete rimbambiti ho esattamente 29 anni e quasi tre mesi, ma l’arcano è presto svelato: da quando circa un anno fa mi è stato diagnosticato il Morbo Di Giacomo Kellerman – malattia rarissima che lascia una speranza di vita di massimo due anni – ho deciso di compiere gli anni più volte in un mese, per diventare vecchio anch’io e sentire cosa si prova. Visto che il crepuscolo è dietro l’angolo, fa meno male pensare di avere 74 anni anziché quasi 30.
    Oggi festeggerò da solo perché la malattia mi blocca in casa ormai da qualche settimana (è il decimo compleanno che festeggio in tutta solitudine), ma prima organizzavo vere e proprie feste al Sirius, il locale dei miei amici Mamo e Tony.
    Il Morbo di Giacomo Kellerman fu diagnosticato per la prima volta nel 1996 dal professor Giacomo Kellerman in un uomo di quarantadue anni di Torino. Questa sindrome al momento incurabile si manifesta con attacchi epilettici, come quelli che mi sorpresero quella sera di inizio marzo dell’anno scorso. Stavo guardando la tv quando mi ritrovai riverso sul pavimento, tremebondo e fradicio di sudore. La crisi durò circa un paio di minuti. Nei giorni successivi mi capitò altre tre volte: una mentre chiacchieravo del più e del meno con il giornalaio, un’altra volta mentre ero al Sirius con i miei amici e un’altra ancora durante una cena dai miei genitori a Villa Skreta.
    Furono proprio mamma e papà che, ovviamente preoccupatissimi, mi convinsero ad andare all’ospedale a farmi visitare. Ci andai il giorno seguente e per una settimana non ne uscii. Decine di esami e controesami diedero la ferale sentenza: Morbo di Giacomo Kellerman.
    “Che cos’è?” chiesi al professor Gordiano Moruzzi dell’ospedale Maggiore di Bologna.
    “Purtroppo, Simone, ci troviamo di fronte a una patologia assai grave…” e da qui mi spiegò che la sclerosi antropofobica progressiva – come è scientificamente detta – colpisce una persona su dieci milioni ed è causata da un parossismo di idiosincrasia nei confronti della mediocrità, dell’ignoranza e del cattivo gusto. In parole povere, uno si ammala quando l’accumulo di Vuoto nel cervello manda in tilt alcune cellule cerebrali, dopodiché il fisico somatizza determinati impulsi esterni (detti nullostimoli) i quali portano il soggetto colpito alla morte in breve tempo.
    Io sono arrivato al punto di non poter più guardare programmi televisivi insulsi (ormai il 99% del ciarpame catodico) o ascoltare discorsi banali e ignoranti, altrimenti rischio la crisi finale.
    È davvero una malattia buffa, quasi un contrappasso per chi come me ha sempre cercato di stare alla larga dal grigiore del mondo.
    Ogni tanto mamma, papà e mia sorella Arianna mi vengono a trovare, ma devono stare attenti a non dire scempiaggini … Il decorso del Morbo è giunto a una fase importante; persino se un quadro attaccato a una parete è storto o se l’arredamento di una casa non è per nulla di mio gusto rischio la paralisi momentanea. Tutto ciò che è brutto arrischia alla mia salute. E in un mondo dove il brutto, l’omologazione, il livellamento verso il basso e l’ottusità la fanno da padroni, non ho scampo.


II. PROFESSIONE SOBILLATORE

Finché la salute me lo consentiva ero un libero professionista, per l’esattezza svolgevo l’attività di sobillatore. Apparentemente può sembrare una presa in giro, un lavoro uscito dalla penna di un Achille Campanile o di un Daniel Pennac, ma quella era semplicemente la mia unica e vera fonte di guadagno. In nero.
    Il mio biglietto da visita era tutto un programma.



Qualcuno ti tarpa le ali?
Sei soffocato da gente bigotta e conformista?

CHIAMA SUBITO

SIMONE SKRETA

SOBILLATORE PROFESSIONISTA


Do the right thing… 328 3783357
 



    Avevo un cospicuo numero di  clienti, più che altro giovani oppressi da famiglie inette, ipocrite e timorate di Dio. Venivano da me per un consulto e nel giro di un’oretta (la  durata di una seduta) diventavo il loro fratello maggiore o il loro migliore amico. Non ero uno psicologo ma entravo perfettamente nella testa e nel cuore del “paziente” facendolo bruciare di impazienza, non so se mi spiego; non ero nemmeno uno psicologo per quanto riguarda le parcelle richieste: gli psicologi sono meschini approfittatori della sofferenza altrui quando ti chiedono più di settanta euro per cinquanta minuti di ascolto; io mi accontentavo di dieci quindici euro all’ora e spesso neanche facevo pagare i minorenni e gli studenti. Per di più mi bastavano pochissimi incontri per salvare un’anima…
    Vi faccio ora tre esempi di persona-tipo che si è rivolta a me.

MICHELE, 16 ANNI, STUDENTE

    “Aiutami Simone, vorrei tanto giocare a calcio ma i miei vogliono che continui gli studi. Come posso fare?”
    “Preferisci giocare a calcio o studiare?”
    “Giocare a calcio.”
    “Non ce la fai proprio a combinare studio e sport?”
    “No, mi è davvero impossibile.”
    “Allora ti consiglio di lasciare perdere i libri (che ti assicuro a me hanno rovinato la vita stimolandomi a scrivere) e di prepararti a combattere una guerra contro i tuoi genitori. Se hai un sogno, inseguilo. Se credi che il tuo scopo sia diventare un calciatore, FA’ il calciatore. Però preparati anche al possibile fallimento.”
    “Ma i miei non saranno mai d’accordo!”
    “Ricorda che i genitori sono quasi sempre un ostacolo, seppur vogliano fare il massimo e dare il meglio ai propri figli. Fai sempre quello che credi giusto TU e non te ne pentirai.”

    Oggi Michele ha diciotto anni e gioca nella squadra Primavera del Bologna. La cultura non è il suo forte ma promette molto bene.

ANNA, 36 ANNI, CASALINGA

    “Ho un marito oppressivo che non mi porta mai fuori e quando gli faccio presente che vorrei trovare stimoli nuovi magari frequentando un corso di pittura o iscrivendomi ad una compagnia teatrale, seppur in modo velato, mi “ordina” di lasciar perdere. Cosa posso fare?”
    “Lascialo!”
    “Come!?”
    “Lascialo. Oppure dagli un ultimatum; digli che se continua a tenerti in gabbia farai presto le valigie…”

    Anna ha oggi quarantun anni, un nuovo compagno, un hobby appagante nel campo del teatro e un ex marito alcolizzato.

LUIGINO, 10 ANNI, BAMBINO

    “Ho sentito dire che risolve anche i problemi dei bambini, è vero?”
    “Beh, faccio quello che posso. Qual è il tuo problema?”
    “Non voglio più andare in chiesa la domenica, perché mi annoio, ma mia mamma mi obbliga.”
    “Caro Luigino, ti voglio rivelare un segreto: Dio non esiste!”
    “Davvero? E allora perché mia mamma dice che bisogna pregarlo e che da lassù ci osserva e che se non si fa i bravi poi ci manda all’inferno e che…”
    “Perché ti vuole comandare come vuole. Lei e i tuoi catechisti ti raccontano la favola di Dio perché hanno paura che tu diventi un uomo libero.”
    “Non capisco.”
    “Lo so, ma avrai tempo di imparare. Intanto devi ribellarti. Non credere più alle frottole su Dio. Dio è dentro di te. Dio sei tu. Dio non abita in nessuna chiesa. Smetti di andare in chiesa, io sarò sempre al tuo fianco.”

    Luigino oggi ha quattordici anni e … non va più a messa. Sta diventando un ragazzo molto intelligente.

    Nei nove anni in cui ho svolto la mia attività di sobillatore è logico che sono incappato in diverse denunce: istigazione al turpiloquio, alla fornicazione, alla masturbazione, all’uso moderato di alcol e stupefacenti, alla libertà di pensiero, eccetera. Avendo un amico – il buon vecchio Armando Canaglia – che è anche un ottimo avvocato, sono sempre uscito indenne da ogni processo. Però è triste constatare che l’aver salvato tante anime inermi dallo strapotere della stupidità umana mi è valso solo ostracismo e biasimo.


III. L’ULTIMA MISSIONE  

È stata certamente la telefonata del mio amico Mastro Marasca, fatto sta che mi sono ritrovato a tremare sdraiato supino sul pavimento del mio appartamento.
    Il buon vecchio Antonio Zavatti detto Mastro Marasca era uno dei dodici maledetti.
    All’epoca antecedente l’omicidio di Robby era un ragazzo allegro e spiritoso, lavorava al mercato ortofrutticolo di Bologna e programmava una vita coniugale insieme a Marcella. Oggi è un buzzurro frustrato e pessimista che non fa altro che lamentarsi e insultare chi se la passa meglio – a parer suo – di lui. È attualmente single, fa l’operaio in un preservativificio e ha l’hobby di telefonarmi per sfogare tutta la sua rabbia di perdente.
    Ecco perché poc’anzi rantolavo per terra. Quel senso di claustrofobia che mi assale dopo ogni crisi mi ha spinto a spalancare la finestra e respirare a pieni polmoni l’aria frizzante della campagna di Castello d’Argile.
    Vivo in un appartamento molto grazioso da me arredato in stile moderno nella periferia di questo paese emiliano, Castello d’Argile, ottimo compromesso per chi vuole raggiungere Bologna in pochi minuti ma preferisce abitare nella tranquillità bucolica.
    Me l’hanno comprato i miei genitori due anni fa, dopo avere intascato i soldi di una vincita milionaria al superenalotto. Ho approfittato immediatamente del loro gentilissimo regalo, anche perché non ne potevo più di vivere a Villa Skreta, dove quella sclerotica di mia nonna rompeva quotidianamente i coglioni e dove vedevo invecchiare (non tanto nell’aspetto ma interiormente) i miei genitori ad un ritmo sconvolgente.
    Mi sono trovato subito benissimo a vivere da solo, dopotutto sono sempre stato un animale solitario. Ora però che la solitudine è praticamente coatta, la vita in questo appartamento è diventata alquanto buia e soffocante.
    Ma bando all’autocommiserazione!, non ho iniziato a scrivere per parlare della mia situazione attuale. Se ho trovato lo stimolo per iniziare questa confessione è perché voglio giungere ad una catarsi, spiattellando in faccia a tutti le verità di un passato ormai morto ma che continua a tormentarmi con i suoi miasmi di decomposizione.
    NO VI PREGO, LASCIATEMI STARE, NON UCCIDETEMI!
    Mioddio, non potrò mai dimenticare quella voce. Nessuno la cancellerà mai. Mastro Marasca, Gisto, Zio, Gallo, Maso, Lennon, Capocchia, il Trucido, Losco, Bongio, Turtlén ed io: i dodici apostoli del male.
    Come abbiamo potuto commettere una tale efferatezza? Finché il Morbo di Giacomo Kellerman non mi avrà dato il colpo di grazia, cercherò una risposta. La cercherò scrivendo, questa è la mia missione. Scrivere per non impazzire. Scrivere per liberare l’anima. Forse è questo che fa di uno scrittore uno Scrittore.


IV. L’ULTIMA CENA

Era il 1998? A volte mi confondo, forse perché ho cercato in tutti i modi di cancellare quell’episodio. Ci ho provato con l’alcol, con le droghe, con gli antidepressivi. Niente!, l’unica cosa che ho annebbiato è stata la data del fattaccio. Comunque al massimo è stato il 1999 o al più il 2000. Il mese… vallo a sapere! So solo che faceva freddo.
    Eravamo a una cena nella casa di campagna di Gallo, tutti apparentemente allegri grazie anche alle abbondanti libagioni. Turtlén e Gisto cuocevano salsicce e braciole sulla griglia. Maso e Gallo rullavano delle canne mentre noialtri chiacchieravamo e brindavamo nell’attesa che la carne fosse pronta.
    Era una di quelle serate in compagnia che facevamo spesso e ogni volta il divertimento era assicurato. Preferivamo essere solo uomini (“Le donne vanno bene per essere scopate, non per far chiacchiere” diceva Maso), qualche volta però si univano al gruppo la Blatta e la Vanny, ma solo perché la Blatta era l’amante del fidanzatissimo Gallo e la Vanny era la mia puttanella preferita. Quando le due amichette chiedevano a Gallo se potevano essere invitate a una qualche cena, io sbuffando mi avvicinavo all’orecchio dell’amico e dicevo: “Vabbuò dai, al massimo chiudiamo la serata con un bocchino.” Quella sera però – la sera in questione – non c’erano, anche se credo che se fossero state presenti, pure loro sarebbero state complici del delitto.
    Il leit motiv della serata era il solito: “Alla figa!” proponeva Mastro Marasca. E tutti in coro: “Prosit!”
    Si parlava, si mangiava e si beveva in abbondanza. A un certo punto però mi accorsi che qualcosa non quadrava. C’era per la prima volta un’atmosfera impercettibilmente diversa dalle cene precedenti. Fu un pensiero momentaneo che cancellai con il brindisi successivo; con il senno di poi posso ora dire che fu una funesta premonizione.



V. IL CONFINE 

Per capire meglio e per spiegare meglio da dove potrebbe essere partito l’input che ci ha spinto ad agire come belve sanguinarie, devo almeno fare un quadro dell’ambiente in cui abbiamo vissuto e dipingere a grandi linee il ritratto dei miei compagni di merende; non come si sono ridotti ora, bensì come erano prima dell’arrivo di Robby.
    A dire il vero non c’è molto da dire: Castello d’Argile è Castello d’Argile, paese appestato dal perbenismo di un establishment cattolico che sforna figli lobotomizzati e li cresce nella più totale sudditanza alle regole morali. Che poi io ‘sta parola – morale – mica lo so cosa significa. Mi sa di qualcosa di pernicioso.
    Pensate che questo è l’unico comune in Italia ad avere l’assessorato alla censura. Incredibile! Una volta, dopo aver pubblicato il mio primo libercolo “Cavalcando un fenicottero nano deforme” (se ripenso a quelle pagine rischio una crisi epilettica!), vennero a farmi visita quattro persone: due uomini anziani, una donna quarantenne e un diciottenne dallo sguardo spento. Indossavano una divisa nera e marrone, presumo la divisa squadrista dei censori, e mi minacciarono dicendo che la prossima volta che avessi avuto intenzione di pubblicare un libro, il manoscritto sarebbe prima dovuto passare al controllo dell’assessore alla censura, altrimenti “sarei finito molto male” (testuali parole).
    Quando uscì il mio secondo libercolo “Dioniso misantropo” le divise marronere mi rifecero visita.
    “Ti avevamo avvertito. Adesso ti renderemo la vita un inferno” mi dissero.
    Non so cosa abbiano voluto intendere con inferno, ma se mandarmi lettere anonime stracolme di contumelie e minacce ed escludermi dagli inviti “culturali” in biblioteca e dalle serate di incontro cristiano nel salone parrocchiale voleva essere un assaggio d’inferi, hanno perso una buona occasione per dimostrare di avere una sola misera briciola di cervello. Poveretti!
    Per quanto riguarda i miei amici-complici ecco la formazione:

1)      Marco Antonelli detto Maso
2)      Stefano Gallerani detto Gallo
3)      Michele Fermi detto Zio
4)      Lauro Rosini detto Lennon
5)      Antonio Zavatti detto Mastro Marasca
6)      Teodoro Navarro detto il Trucido
7)      Ezio Buzzati detto Losco
8)      Valerio Resca detto Turtlén
9)      Lorenzo Bonini detto Capocchia
10)   Andrea Bongiovanni detto Bongio
11)   Nicola Popolo detto Gisto


    Per spiegare chi erano questi ragazzi qualche anno fa, prima del 1998 (o ’99 o 2000) basta prenderne uno a paradigma di tutti. Scegliete pure un Lennon, un Losco, un Capocchia… eravamo tutti sognatori, entusiasti, vitali. Eravamo pieni di speranze. Eravamo giovani. Non che adesso siamo vecchi, ma la morte di Robby ci ha portati tutti quanti a varcare per sempre un confine, condannandoci all’esilio. 

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